In occasione della Giornata Internazionale della Visibilità Lesbica, il 26 aprile, il sito di informazione LGBTIQ+ Gay.it, ha pubblicato la lista di 10 storiche attiviste lesbiche che hanno fatto la storia della comunità.
Dieci donne queer che in Italia hanno lottato con il loro attivismo, e la cui storia è bene ricordare.
Il movimento lesbico in Italia è partito relativamente più tardi rispetto ad altri Paesi come gli Stati Uniti, ma non per questo è stato meno grandioso, meno importante e meno di successo. L’attivismo in Italia nasce negli anni Settanta, più precisamente nel 1971, quando Mariasilvia Spolato fondò il Fronte di Liberazione Omosessuale (FLO), movimento poi confluito nel Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano (F.U.O.R.I.) e insieme ad Angelo Pezzana fondò la rivista Fuori! .
“Noi lesbiche abbiamo due stigmi sociali: siamo donne e siamo omosessuali”
La prima volta che ho parlato con Maria Laura Annibali è stata per un’intervista sulle unioni civili: era gennaio e lei era “sposata” da tre mesi con Lidia, dopo 15 anni insieme. Il racconto della felicità di quel giorno è durato due minuti, perché poi la nostra conversazione si era naturalmente incanalata sulla lista delle “cose da fare ancora”. E Maria Laura, 72 anni, da tre presidente dell’associazione Di’Gay Project di Roma, per queste “cose” combatte quotidianamente. Visto che siamo nella settimana della “Giornata internazionale contro l’omofobia” (il 17 maggio 1990 l’Organizzazione mondiale della sanità ha eliminato l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali, Ndr), ho pensato di fare con lei un’altra chiacchierata.
Maria Laura, che tempi sono questi? La cronaca recente ci ha raccontato l’arresto di otto ragazzi per il pestaggio, a gennaio, di due giovani omosessuali a Milano, e a Mosca c’è stato il fermo dell’attivista Yuri Guaiana, accusato di manifestazione non autorizzata per aver cercato di consegnare una petizione contro le persecuzioni di cui sono vittime i gay in Cecenia. Intanto, facciamo una precisazione: quella che festeggiamo è la giornata internazionale contro la omotransfobia, perché le discriminazioni riguardano anche i trans. Poi, per la comunità Lgbt, o meglio Lgbtqi, sono tempi in cui bisogna scendere in piazza. Ci sono situazioni tremende in alcuni paesi stranieri: ci sono paesi in cui l’omosessualità è un reato punito con la pena di morte, o dove i gay sono regolarmente torturati e uccisi. In questi giorni parliamo di Cecenia, ma non c’è solo la Cecenia.
Anche in Italia dobbiamo scendere in piazza? Certo: dobbiamo completare la legge Cirinnà con la stepchild adoption e dobbiamo arrivare al matrimonio egualitario. E dobbiamo fare una legge contro l’omofobia: sarebbe un segnale importante. È una legge necessaria: diventerebbe lo strumento per combattere tutte le discriminazioni e gli insulti di cui ancora siamo regolarmente vittime. Ti faccio un esempio: quando su “Stato civile” di RaiTre è andata in onda la puntata con l’unione mia e di Lidia, sulla mia pagina Facebook e su quella di RaiTre sono arrivati commenti del tipo “devono farti l’elettroshock” e “sei rimbambita”. Una donna ha scritto che, vedendo in televisione il nostro bacio, castissimo peraltro, l’abbiamo fatta vomitare. E con noi si sono limitati agli insulti. A una coppia di ragazze sarde, apparse nello stesso programma, sono arrivate minacce di morte. Sono cose che fanno male. Io che sono profondamente cristiana ti dico: Gesù non ha mica insegnato l’odio. Eppure molti di quelli che ci insultano, si dicono cristiani.
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